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Casa: il Sunia “sfratta” il Testo unico della Regione sulle case popolari

E chiede un incontro al Lode

E’ degno di “sfratto” dal contesto legislativo il Testo unico sulle case popolari che la Regione Toscana sta mettendo a punto. E prima che diventi legge, il Sunia ha chiesto una riunione al Lode, l’organismo dei comuni che si occupa della casa.

Da anni non c’è una politica di settore né interventi significativi ad alcun livello – commentano Fabio Buricchi e Gino Troisi del Sunia di Arezzo. L’unica politica sulle case popolari che ha unito la Regione e le amministrazioni di ogni colore politico, è stata l’introduzione di regole di accesso per escludere dalle graduatorie quanti più richiedenti possibile. Nella nostra provincia hanno trovato risposta solo il 14% delle domande. Il disegno è quello di diminuire il numero delle domande presentate per far salire la percentuale delle accolte”.

E se questo è il quadro, la strategia della Regione Toscana ha buone probabilità di aggravarlo: “non cerca di avviare un rilancio ma sembra assecondare la politica dello smantellamento dell’intervento pubblico. Non si preoccupa di finanziamenti certi e continui e neppure del fatto che già oggi i Comuni sono tagliati fuori da ogni intervento, sia per la normativa che lascia ogni potere alle aziende, sia per il disimpegno dei comuni. Anzi, con l’aria vasta crea un fossato sempre più netto tra gestore, comuni ed utenti”.

La definizione area vasta allarma il Sunia: “esperienze come quelle dei rifiuti e della sanità dovrebbero aver pur insegnato qualcosa. Invece nulla. Nel nostro caso siamo di fronte alla proposta di modifica del fondo sociale la cui gestione, passando dal livello regionale a quello di ambito, sembra avvicinarsi ai territori ma di fatto elimina l’intervento economico di Regione e comuni previsto nella legge attuale. Infatti il fondo sarà alimentato solo dalle entrate dei canoni che passa dall’1% al 3%”.

Un aumento che Buricchi e Troisi valutano solo teorico “perché l’orientamento è quello di assegnare le case popolari solo in situazioni di grave degrado sociale ed economico. Quindi aumenterà il numero di coloro che non potranno pagare il canone. Senza dimenticare l’innalzamento della percentuale di utilizzo provvisorio degli alloggi per emergenze a nuclei familiari non assegnatari che passa dal 35% al 40% e il fatto che questo utilizzo finisce per abbassare il numero di quelle messe a bando”.

Il no del Sunia alla proposta regionale ha ulteriori motivazioni: “abbassa i limiti di reddito per essere esclusi dal diritto e per il mantenimento delle case assegnate; alza l’importo degli affitti; rivede la normativa nel caso l’appartamento abitato si riveli sovradimensionato rispetto al numero degli abitanti; diminuisce le case da mettere a disposizione nei bandi alzando la percentuale riservata ai casi di utilizzo provvisorio per emergenze”.

Il Sunia ricorda che in assenza di interventi pubblici e diminuendo le entrate per gli affitti, “si azzereranno i fondi per la manutenzione che, già oggi, non consentono di mantenere livelli accettabili. Si arriverà ad avere ghetti invivibili con abitazioni a rotazione attribuite per situazioni di grave emergenza da liberare appena arriva una emergenza più grossa. E’ l’aspetto politicamente più deleterio di una strategia già vista. far degradare la situazione e far uscire completamente il pubblico dalle case popolari”.

Il tutto in una situazione che vede ad Arezzo 36.044 case vuote mentre nel 2105 ci sono state 1.702 richieste di esecuzione e 437 sfratti eseguiti. I canoni concordati sono una risposta interessante ma parziale e limitata. Occorrono misure forti e straordinarie che, in tempi rapidi, diano concretezza ad una seria inversione.

Tra le misure straordinarie si può pensare a tasse di scopo – ricordano Buricchi e Troisi. Una tassa sulla prima casa per le abitazioni di lusso, l’incremento della stessa per chi, dopo un anno, non metta sul mercato la casa sfitta, ecc. In ultima analisi non sono da escludere provvedimenti forzosi. Il Sunia provinciale auspica che la legge reginale si apra a prospettive di rilancio e non di smobilitazione, che sia una occasione per richiedere con forza finanziamenti adeguati. La messa in moto dell’edilizia creerebbe un circolo virtuoso che potrebbe far ripartire l’economia molto più che incentivi a fondo perduto. Incentivi che non hanno creato nuovo lavoro, ma hanno solo consentito di trasformare rapporti di lavoro esistenti”.

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