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Quelli che il reddito

“Io Daniel Blake” è un film del regista inglese Ken Loach, uscito nel 2016. Il personaggio su cui ruota la storia è uno sfortunato falegname, che non può più lavorare perché colpito da un infarto, ma che deve cercare di ottemperare alle richieste, per lui ingestibili, del centro per l’impiego, pena la perdita del sussidio di disoccupazione. È un film amaro, pessimista, che rappresenta una società dove c’è sempre meno spazio per la dignità umana. Il paragone è oggi lontano da noi solo per geografia: difatti cosa capiterà ai tanti «Daniel» in Italia con questo reddito di cittadinanza?

Differenti esponenti del Governo, intervistati, hanno voluto sottolineare come l’intento sia quello di aiutare gli ultimi, i dimenticati, quelli che il lavoro non lo cercano più da anni, quell’enorme platea che vive al di sotto della soglia di povertà che, secondo le statistiche sarebbe, in Italia, di almeno 6-7 milioni di persone. Un mare di gente che, in parte, si sta riversando negli uffici di patronati, poste e sindacati, per fare le pratiche necessarie, per chiedere informazioni, per avere un appuntamento. Tutti indistintamente, con la speranza di avere un’entrata mensile stabile, con cui poter campare.

Spesso sono persone che conoscono il sindacato e che il sindacato conosce, essendo questo un luogo dove cercare di risolvere i problemi inerenti al lavoro o alle situazioni di inoccupazione, per le assistenze fiscali o per le pratiche legate ai benefici previdenziali.
Tante persone è vero, ma non è solo il grande afflusso, sottolineato dai giornali, a impressionare, quanto le differenti problematiche che ciascuno si porta dietro: famiglie con tanti figli, famiglie sostenute economicamente da un solo anziano che è pensionato, persone con invalidità, persone sole e senza un reddito o quasi, giovani senza lavoro e over 50 nella stessa condizione, ma molto più usurati nel fisico e nello spirito. Non avere un lavoro, sentirsi inutili, non sapere come vivere ogni giorno, crea situazioni di stress e disagio psicologico, che vedi negli sguardi.

Nei sindacati vengono in tanti, ogni giorno, si mettono in fila pazientemente e attendono il loro turno per poter raccontare a qualcuno i problemi che li affliggono. In questo caso per avere un appuntamento al Caaf: per il reddito dovranno confrontarsi, innanzitutto, con i documenti fiscali, visto che il requisito base, è il calcolo che accerta le entrate e le uscite del loro intero nucleo familiare. Ma l’aritmetica è sufficiente a fotografare i disagi di ciascuno? Può la ragioneria assegnare, a tutti, i meriti dovuti?
Certamente ci saranno le piccole-grandi ingiustizie di ogni macchina burocratica: un padre che lavora, che ha la moglie e i figli disoccupati, magari non rientrerà nei requisiti, se il suo ISEE supera i 9.360 euro. Ugualmente vale l’ISEE per il precario sposato con una part time involontaria, anche se la coppia ha figli, che siano uno, due, tre o più. Poi ci sono una serie di ulteriori requisiti, destinati agli stranieri che vorrebbero il sostegno: chi non ha il permesso di soggiorno a tempo indeterminato o chi non risiede in Italia da almeno 10 anni, non potrà accedere al reddito. Peggio, poi, se sarà necessario richiedere i documenti del patrimonio familiare ai propri paesi di origine. Quanti ne rimarranno fuori? I diritti, in questa realtà discriminatoria, dipendono dai moduli. E nella realtà molte persone, spaventate dalla burocrazia e dalla complessità del tutto, decidono di non fare alcuna richiesta, benché ne abbiano diritto.

Ma non c’è solo questo a creare dubbi, come detto ci sono i tanti Daniel, coloro che vedranno accolta la domanda per il reddito dall’INPS e che dovranno compilarne anche una seconda, la «Domanda di Immediata Disponibilità» (DID): si dovrà dimostrare di voler lavorare, adattarsi a far su e giù nei vari centri per l’impiego, dedicare 8 ore settimanali ad attività gratuite presso il proprio Comune, e si dovrà accettare una delle tre «congrue» proposte che arriveranno. Ma quali saranno queste offerte? Tanti i dubbi che spaventano questo universo di persone in attesa di fronte alla poderosa macchina della burocrazia, sperando che qualcuno tenga in considerazione tutte le loro situazioni, che non sono tanto le qualifiche professionali (nella realtà si va da chi ha una laurea al conservatorio a chi era/è abituato ad un lavoro di fatica); a preoccupare quest’umanità che sopravvive come sugli alberi le foglie, sono le invalidità, le malattie poco conciliabili con lavori usuranti o impegnativi per il fisico, i problemi familiari, il poter continuare ad assistere un genitore anziano o un figlio malato, la paura di doversi spostare lontano dalla famiglia (e il ritrovarsi anche con altre spese e un altro affitto da pagare, rimanendo economicamente messi male come prima o più di prima).

Ma pesante è anche un disagio già messo in conto: file, code, moduli e domande per lavori stabili che per ora non hanno visto mai, e che dovrebbe invece dargli un navigator laureato-precario, in un Paese in recessione, in cui mancano gli investimenti e i problemi si sono sommati negli anni, fino a questa attuale situazione di crisi. Il quadro è noto, che si creino posti di lavoro dal nulla, per milioni di persone insieme, tutto un tratto, pare una chimera. Ma la necessità è più forte della diffidenza: quindi si presentano, più o meno pazienti, ma puntuali, aspettano il proprio turno, poi interrogheranno un solerte impiegato su tutti i punti nodali, nella speranza intanto di poter ottenere un reddito, che gli regga il più a lungo possibile, lavorando o meno, vivendo alla giornata come sempre, senza possibilità di fare progetti che vadano oltre la fine del mese. Perenne e logorante attesa.

Luca Innocenti – Ufficio Stampa CGIL

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